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Interni ed Esterni
di David Kevorkian, 27/05/2012

Questo non è il racconto di una delle (poche) gare di David Kevorkian, “davidino”, come mi chiama sempre Annamaria Ciani. No… perché tanto non avrei molto da raccontarvi sulle mie prestazioni. E non è nemmeno il resoconto di una gara in mezzo alla “nostra” amata Roma, di quei racconti che parlano di sanpietrini, chiese, scorci e viste mozzafiato. Come potete ben immaginare, non è nemmeno il racconto di una “classica”, magari preparata per mesi con allenamenti serrati e ripetute massacranti… di quelle gare dove si parte in “ennemila” e si arriva al traguardo sempre e comunque in massa. Questo è il racconto della gara di Fabio. Fabio, un ragazzo di fuori Roma che sconta la sua pena a Rebibbia. Uno dei tanti ragazzi, uomini che abitano quella “strana città” che è il carcere. È la storia di un percorso tortuoso tracciato dentro le mura di Rebibbia, assolato, a tratti insopportabile, fatto di buche e di curve a gomito, di erba alta, di terra e di asfalto bollente. Un percorso che possiamo, anche fin troppo banalmente, paragonare alla vita di Fabio e di tanti altri ragazzi che oggi abbiamo conosciuto.

Pettorale da appuntare, qualche foto, l’arancione che invade Rebibbia e poi… lo start.

Parto, faccio girare le gambe, il primo giro mi inganna perché sono ancora riposato, direi fresco, se non fosse per i 30 gradi e per l’afa che non mi fa respirare. L’allergia al polline, inoltre, mi assesta un bel colpo.
Il secondo giro rallento, non c’è da fare il tempo e sono due settimane che non mi alleno. Gambe pesanti, fiato che non c’è… pazienza… non importa.
Al quinto chilometro, afferro una bottiglietta d’acqua e me la rovescio quasi interamente in testa, chiudo gli occhi un attimo, quando li riapro, un ragazzo “interno”, come li chiamano i giudici UISP, è lì accanto a me e mi porge la sua bottiglietta.
“No dai, grazie… tienila te… aspetto il prossimo ristoro”. Ci affianchiamo e ci avviamo verso la fine del terzo giro. “Io mi fermo”, “No, scusa, perché?”. “Non ce la faccio!”. “Maddai… ti sei segnato alla 12 km, perché fermarsi?”. Torna il silenzio e si risparmia il fiato.

Completiamo il terzo giro… ergo, siamo oltre metà. “Da questo punto, vietato ritirarsi”. “Perché?”. “Ma scusa… abbiamo fatto più di metà… adesso si conclude!”. “Mah… vediamo”. “Tranquillo… se finisco io, finisci pure te. A proposito… ma com’è che ti chiami?” .“Fabio”. “Piacere, David”.
L’anello di due chilometri è un continuo zig zag in mezzo all’erba tagliata ma il fondo è… gibboso, cunettine, piccole buche e l’acqua dei ristori piano piano finisce. Sorpassiamo qualche atleta interno, pochi esterni e siamo sorpassati da tanti orange. Incrociamo l’Elisa Tempestini che sta… un bel po’ davanti a noi e… “Accidenti come va quella!”, “eh, l’Elisa… e chi la ferma…”, “ma te riesci a stargli dietro?”, “si, certo… nei miei sogni migliori”. Si ride… sotto quel solleone… che altro possiamo fare? I chilometri scorrono sotto i nostri piedi e si inizia a parlare di tutto e di più… Fabio racconta, quasi senza che io debba chiedere nulla. Ascolto ed ogni tanto lo guardo. Racconta cose… anche difficili da capire e da immaginare per chi come me a Rebibbia ci è entrato oggi per la prima volta come “atleta”. Ma sorride. Un “conoscente”, come lo chiama Fabio, lo saluta da dietro le sbarre… Fabio sorride nuovamente, ricambia il saluto e mi dice che da domani lo aspetta un periodo di semilibertà, a casa, nella sua città. “Eddai… allora vuoi fermarti? Cavolo… devi festeggiare”, “eh, se ce la faccio…”. “Ma certo che ce la fai… il traguardo lo passi a braccia alzate!” Adesso tutti e due sappiamo che finiremo la gara, non solo perché intravediamo il traguardo, ma anche perché chiacchierando non ci accorgiamo della strada macinata: la sua città, la mia città, i ricordi, la voglia di farsi ore ed ore in treno (rigorosamente regionale) per guardare fuori dal finestrino e vedere, assaporare con gli occhi, quello che io probabilmente vedo ogni sacrosanta mattina ma al quale non do il minimo peso.
Siamo agli ultimi 500 metri… “eh, non dire gatto se non ce l’hai nel sacco”, “si vabbè, Fabio… se crolli adesso ti ci trascino io al traguardo! Dimenticavo… mica smetterai di correre, una volta fuori?”, “no no… mi serve per liberare la testa e … penso che potrò conoscere un sacco di gente”.
Ultimi 100 metri, gli orange tutti ci incitano, Fabio scatta e taglia il traguardo. 30esimo su 50 partecipanti, un abbraccio forte, troppo sincero, troppo emozionante, un po’ di stretching, un po’ d’acqua… “ehi, quanto ci abbiamo messo?”, “1 ora e 16 minuti”. “E’ buono?”, chiede Fabio con uno sguardo troppo stanco ma enormemente soddisfatto… “Si certo, è ottimo… possiamo puntare però almeno a 1 ora e 10 minuti! Ma come esordio, è ottimo”. E lì penso che… è davvero un runner!

Ci beviamo un chinotto insieme, assistiamo alle premiazioni e poi Fabio, veloce come un fulmine, si butta sul tavolo del rinfresco per riemergere pochi secondi dopo con un spuntino da dividere!

Lo saluto perché per me è il tempo di uscire. “Ehi Fabio, in bocca a lupo! Da domani per te è una nuova vita!”. “Crepi il lupo, David. È stato davvero un piacere conoscerti. E grazie dell’aiuto, senza di te mi sarei fermato al terzo giro”. Un abbraccio e via.
Chissà, probabilmente non lo incontrerò mai più. O forse si. Il pezzetto a piedi da Rebibbia alla metro, sotto un sole ancora cocente e con il polline che mi devasta mi sembra… lieve, leggero, quasi “bello”.
Ci vuole davvero troppo poco per rendere diversa la giornata di un ragazzo che quel pezzetto di strada non vede l’ora di poterlo vivere in prima persona!


Gara: Vivicittà nel Carcere di Rebibbia (25/05/2012)

SCHEDA GARA



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