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La mia Firenze Marathon
di Roberto Trasatti, 02/12/2015

Una fase della Maratona di Firenze

Una fase della Maratona di Firenze

“L’unico mezzo per raggiungere un risultato è l’impegno ottenuto con il sacrificio”: questo era il pensiero che mi ricorreva in testa nelle ore successive.
Era la seconda volta che mi cimentavo nella Regina delle competizioni per chi ama correre: la Maratona! La prima volta era avvenuto nella mia città: Roma. E la prima volta, si sa, non si dimentica mai!
In quell’occasione avevo terminato la gara con un bel tre ore e quarantasei minuti: sensazioni forti, indimenticabili che avevo avuto la necessità di fissare sulla carta descrivendone minuziosamente ogni aspetto.

Questa volta è stato diverso. Ma giusto due parole le devo scrivere: anche ora non posso farne a meno! Per la mia prima volta fuori Regione, il destino mi ha portato in una città a me vicina ma poco conosciuta.
Questa Maratona di Firenze è nata per caso, non avevo per niente voglia di ricominciare. Poi un amico me l’ha proposta dovendo però, per motivi personali, rinunciare a parteciparvi. Un altro amico, indeciso fino all’ultimo se iscriversi o meno, mi ha accompagnato nella preparazione condividendo con me gli allenamenti più duri. Alla fine, però, neanche lui ha voluto prendervi parte.
Alcuni colleghi di lavoro (per loro era la prima maratona) l’hanno preparata con andature più lente della mia: non ci siamo mai allenati insieme ma sono stati comunque uno stimolo costante e importante.

Alla fine sono arrivato a Firenze da solo. Vi sono arrivato consapevole di essere in forma e di essermi preparato bene. Consapevole di essere al massimo delle mie possibilità considerato il tempo che ho potuto dedicarmi a Lei.
E qui torna il discorso iniziale: nei tre mesi precedenti mi sono sacrificato, ho cercato di “rubare” quanto necessario agli allenamenti senza pesare più di tanto sulla mia famiglia o sul mio lavoro.
Ho stretto i denti negli allenamenti più duri, mi sono alzato prestissimo il sabato mattina anche quando tutto mi suggeriva di continuare a stare sotto le coperte nel calduccio del mio letto.
Sono stato concentrato sui segnali che il mio corpo mi lanciava per evitare infortuni.
Sono stato, cosa difficilissima per me, attento a mangiare nella maniera più corretta possibile.
Ho vissuto allenamenti dopo i quali ho pensato che non ce l’avrei mai fatta e altri nei quali ho preso consapevolezza della mia forza.
Ho cercato di controllare la tensione e convogliarla sempre in energia positiva.
Mi sono emozionato “attraversando” orari e luoghi che puoi vivere e scoprire solo correndo.
Ma mi sono anche divertito: quando ho affrontato i lunghi con il mio amico Gregorio riuscendo con la nostra ironia a sdrammatizzare ed allontanare i nostri pensieri da quella fatica che ci imponeva di fermarci o di rallentare o quando, sempre con lui, siamo finiti a correre tra le tombe di un cimitero. Mi sono divertito inseguendo, commentando e restando ammirati da qualche “lato B” che incontravamo lungo il percorso.
Mi sono divertito quando ho incrociato i sorrisi e le mani dei miei amici lungo la ciclabile del Lungotevere o quando ho accompagnato Gian Paolo nella sua prima Mezza Maratona.

Poi è arrivato il 28 novembre, il giorno prima della gara. Arrivare a Firenze e scoprire una città fantastica.
Fare il turista, “scalando” anche torri e campanili alla faccia dello sforzo che avrei dovuto sostenere il giorno dopo: non sarebbe stato proprio possibile limitarsi di fronte a questo gioiello a cielo aperto!
Arrivarci con la mia famiglia che finalmente ha respirato il clima unico che si assapora intorno a questo nostro bellissimo sport e insieme a degli amici carissimi che hanno reso ancora più piacevole quest’esperienza.
Arrivare al Villaggio per ritirare il pettorale e vedere da vicino il mio Totti dell’atletica leggera, quello Stefano Baldini che mi ha fatto sognare seguendolo ad Atene e leggendo i suoi libri.
La sera in albergo con mia moglie e i miei figli che si preoccupano per me.
La telefonata di mia madre che, da mamma, mi dice di fermarmi se mi sento male.
La notte quasi insonne.
I preparativi dell’alba, la colazione in albergo tra runners emozionati come me.
I due chilometri e mezzo sul Lungarno per raggiungere la partenza: una camminata tra lo stupore per la bellezza che i miei occhi avevano il privilegio di scorgere, la paura di fallire e la voglia prorompente di correre pronta ad esplodere.
Un emozionante minuto di silenzio per le vittime di Parigi.
Il conto alla rovescia.
La partenza.

Quasi subito la bellezza del Parco delle Cascine e i dieci secondi dietro la siepe per la solita pipì nervosa.
L’ansia di dover raggiungere il “palloncino” delle tre ore e mezzo per avere la sicurezza di mantenere un’andatura costante. L’aggancio al settimo chilometro.
Sto con il pace maker fino al ventiduesimo quando decido di fare una cosa azzardata che non si deve fare mai. Mi sento bene. La gente ti trascina con un tifo mai visto.
Allungo anche se sono consapevole che è troppo presto.
Ho il tempo di parlare in francese con un simpatico runner di Zurigo, di ammirare Palazzo Pitti, di salutare il mio amico di Roma che mi incita da dietro le transenne.
Ma non si può sfidare la sorte quando mancano ancora venti chilometri!
Io lo faccio e mi va bene: quel palloncino non mi riprenderà più!
Al quarantesimo, proprio in contrapposizione all’arte e allo splendore del centro di Firenze, poco prima di attraversare l’affascinante Ponte Vecchio, arrivano i crampi e la crisi. Stringo i denti.
Sono consapevole che sto portando a casa un risultato per me irripetibile: perderò solo un minuto negli ultimi due chilometri.
A duecento metri dal traguardo comincio a piangere e a esultare come non avevo mai fatto: alzo le braccia al cielo e urlo la mia gioia.
Tre ore e venticinque minuti!!! La medaglia al collo che bacio orgoglioso.
Cinque minuti sotto l’obiettivo massimo che mi ero prefissato, venti minuti più veloce di Roma, milleseicentesimo su oltre diecimila partecipanti, quattrocentesimo di categoria, settimo di società, la mia grande società, la Podistica Solidarietà.
Poi c’è il premio più grande: i miei occhi che s’incrociano con quelli dei miei figli e il loro abbraccio.
Iniziano le telefonate: i miei Comandanti, i colleghi, gli amici, i parenti. Tutti carinissimi, tutti ancora con la voglia di starmi vicino in questa meravigliosa pazzia che è la corsa.
Ma l’insegnamento, come dicevo all’inizio, resta uno solo: sacrificio per raggiungere il risultato.
E questa semplice regola vale in ogni campo. Sacrificio senza cercare scorciatoie e ancor più nella corsa dove, ve lo assicuro, scorciatoie proprio non ce ne possono essere.

Siamo alla fine. Come a Roma, il ringraziamento va al mio insostituibile amico Gregorio senza il quale, anche questa volta, l’impresa non sarebbe stata possibile.
Ma questa volta il “grazie” più profondo lo riservo a me stesso: penso di meritarmelo!
L’augurio che faccio a voi e a me stesso è quello di poter continuare a correre in questa nostra vita senza perderne mai la voglia!


Il nostro orange Roberto Trasatti

Il nostro orange Roberto Trasatti

Gara: Maratona di Firenze (29/11/2015)

SCHEDA GARA



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