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Una serata da sogno
di Ettore Golvelli, 08/03/2016

I Golvelli brothers affiancano il Vice Marco Perrone Capano

I Golvelli brothers affiancano il Vice Marco Perrone Capano

C'è un detto che dice: "Se amate Firenze di giorno per la vitalità e l'energia che questa città ha da offrire, non scordatevi di viverla anche di notte". Perché è di notte che si toglie le vesti gioiose di città ricca di arte e storia e dona paesaggi romantici dove è fantastico passeggiare fin quasi ad aspettare l'alba.
Le notti a Firenze si possono trascorrere non solo approfittando delle numerose opportunità di divertimento che questa città offre, con i molti club, pub, discoteche ma anche sulle strade a guardare i meravigliosi monumenti illuminati dalla luna, le magiche strade di pittoreschi quartieri, o semplicemente guardare di tanto in tanto gli artisti che cantano e giocano con te.
Ma soprattutto passeggiare di notte sulle sponde del fiume antico e sentirne il gorgoglìo, innamorarsi del suo scrosciare e abbandonarsi al fluire dei propri pensieri. Non focalizzate lo sguardo sull'Arno però, perché il letto del fiume è abitato non da gnomi ed elfi ma da centinaia di nutrie e topi di notevoli dimensioni.
Oggi la banda dei cinghiali D.O.C. della Podistica Solidarietà si è spinta fino a Firenze e precisamente a S. Croce, cuore pulsante della città gigliata. Se Santa Maria Novella è nata per accogliere le grandi folle venute ad ascoltare le prediche dei frati domenicani e adesso i turisti amanti delle strade ferrate, Santa Croce è la basilica per eccellenza per accogliere le grandi masse di sportivi per le varie manifestazioni che periodicamente la città viola organizza.
Dall'esterno la basilica è bellissima. Entrando si rimane affascinati dalla delicata e sobria bellezza degli affreschi quattrocenteschi, da quelli giotteschi e dallo spettacolare Crocifisso di Cimabue. Qui ci sono quadri, affreschi, pale d'altari, sculture, sepolture monumentali e targhe commemorative di artisti, pensatori e scienziati che hanno dato vita, voce, immagini e parole alla cultura italiana: da Ugo Foscolo a Gioacchino Rossini, da Vittorio Alfieri a Michelangelo Buonarroti.

Ma siamo qui per correre e lo speaker chiama e la corsa comincia.
Si parte e dopo aver percorso alcune strette stradine si arriva alla superba Piazza della Signoria ... e qui di cose da dire e da vedere c'è ne sono a bizzeffe.
Questo è il luogo più interessante del capoluogo toscano per la inequivocabile presenza dell'edificio dove si svolge la lotta secolare del potere della città e dove maturano le decisioni di governo della città di Firenze.
Il palazzo s'innalza a bucare il cielo con la torre a punte in una linea architettonica semplice, creata con ferrigni blocchi di pietra segati con precisione e scalpellati con rozzezza: queste caratteristiche lo rendono superbo e inaccessibile e ne manifestano la funzione di fortezza della libertà. Se ti fermi e lo guardi attentamente, nella luce della sera, ne rimani affascinato: davanti a lui senti attrazione e repulsione, rispetto e paura.
Al suo fianco la fontana di "piazza". Di notte ha una luce azzurra ad illuminarla. Qui si erge il Nettuno in tutta la sua possanza, al centro, e spicca tanto sgarbatamente in quella luce da meritarsi il nomignolo di "il biancone" in virtù della poca stima dei fiorentini per questa statua.
Alla destra del Palazzo Vecchio la superba Loggia della Signoria o dei Lanzi (qui si accamparono i terribili Lanzichenecchi). Una vera e propria galleria d'arte aperta 24 ore su 24.
Tra le varie statue spicca quella in bronzo di Perseo con la testa della Medusa, di Benvenuto Cellini. Il sangue che sgorga dal collo della Medusa è impressionante.
A proposito di logge, poco distante da qui un'altra "loggia", famosa per la sua statua, quella del "Porcellino" (in realtà è un cinghiale). Prassi vuole poggiare una monetine sul suo muso e accarezzarlo. Se cadrà nella grata sottostante si avrà fortuna, altrimenti ...
Tornando alla Piazza della Signoria è importante far caso al "bollo" nero presente sul selciato della piazza: indica il luogo dove Savonarola venne prima impiccato e poi bruciato per spegnere per sempre la sua voce. Perché la voce di Girolamo Savonarola, il frate che viveva nel convento di S. Marco, penetrò nell'animo dei fiorentini, dura e spaventosa, condannando i vizi e la lussuria, preannunciando fuoco e perdizione. Per tre anni la città visse sotto l'incubo di questo frate e la popolazione affollò le chiese e, sotto la sferza delle sue parole, pianse per le proprie colpe.
Fustigatore di corruzione e decadenza della Chiesa, faceva processare chi giudicava dissoluto, organizzando i "roghi della vanità", cioè di opere d'arte, libri e strumenti musicali, nella Chiesa e nella società. Furono proprio i potenti della Chiesa e della società che ne decretarono la fine. Venne scomunicato, processato, impiccato ed arso sul rogo di cui ne è rimasto solo un bollo nero sul bel selciato della piazza.

Si continua a correre ...
Si lascia la piazza e si passa in mezzo agli Uffizi (chiusi a quest'ora) con le statue dei grandi pensatori italiani sulle nicchie ai lati degli edifici che ci guardano severi con la loro autorevolezza.
Adesso dopo aver attraversato il Lungarno degli Archibusieri si arriva sul ponte più antico e più caratteristico che attraversa l'Arno: Ponte Vecchio.
Come non ammirare questo ponte con la sua balconata sull'Arno di Firenze? Come non innamorarsi delle sue molteplici botteghe orafe che fanno da cornice ad un ponte pieno di storia? Adesso di notte, quando le porte in legno delle botteghe si chiudono facendole sembrare quasi dei forzieri, l'atmosfera sul ponte diventa ancora più suggestiva e romantica e lascia spazio solo a coppie di teneri innamorati.
Passato Ponte Vecchio si entra nei quartieri di Santo Spirito e S. Frediano, i quartieri del cosiddetto "Diladdarno" (oppure Oltrearno), insomma in un'altra Firenze.
Correre di sera tra le viuzze di questi quartieri, sulle strade acciottolate che portano il nome delle professioni che venivano esercitate (via dei tessitori, via dei cardatori, ecc.) ti rendi conto che S. Frediano è trasporto emotivo, essenza autentica dell'essere, è la semplicità mescolata alla genuinità, è purezza e ruvidità. Insomma è ... è ... S.Frediano. Perché questo quartiere per i fiorentini è come la mamma, la Fiorentina (calcio), il Ponte Vecchio o la cupola del Brunelleschi.
Se qualcuno ancora non lo sapesse S. Frediano è il quartiere più popolare del centro di Firenze, il più sanguigno, quello in cui il vernacolo fiorentino resiste ancora, la parte della città resa celebre dal romanzo di Vasco Pratolini "Le ragazze di S.Frediano" in cui, narrando la storia di un intraprendente dongiovanni che si era ripromesso a cinque ragazze, veniva derisa la mentalità maschilista dell'epoca e messa in luce la verve e l'arguzia fiorentina.

Si continua a correre e dopo aver percorso via Gucciardini si arriva a Palazzo Pitti e, attraverso il portone principale, si entra nel cuore verde di Firenze: i Giardini di Boboli.
Questi giardini sono un gioiello di natura e arte voluta dalla famiglia dei Medici, uno dei più vasti ed eleganti giardini all'italiana nel mondo che è' anche un vero e proprio museo all'aperto, con sculture che vanno dall'epoca romana al Seicento.
Correre di notte nei Giardini di Boboli è una continua scoperta: si parte dall'anfiteatro, dove campeggia il gigantesco obelisco egiziano, e si passa per la fontana del Nettuno, detta del "Forcone". Scendendo verso Porta Romana si passa per il Viottolone, uno splendido viale bordato di cipressi e statue che conduce fino al piazzale dell'isolotto, dove svetta la grande fontana dell'Oceano, con le varianti delle figure del Nettuno contornato da statue che rappresentano simbolicamente il giovane Nilo, l'adulto Gange e il vecchio Eufrate, il tutto scenograficamente impreziosito da altre statue che emergono dall'acqua e danno la sensazione di vivere in una favola. Poi si passa per la Fontana del Bacchino che raffigura il nano Morgante a cavallo di una tartaruga nei panni del Dio Bacco. Per la monumentale testa bronzea di Igor Mitoraj, nel prato dell'Uccellare.
Statue, radure, terrazzi, vialetti, sentieri e giardinetti recintati creano una scenografia di forte impatto suggestivo, con simboli del passato più elegante della città giunti a noi in un'atmosfera di intatta bellezza.
Si lasciano i giardini e, costeggiando le mure di Forte Belvedere, si imbocca una stradina selciata tra muri a secco e filari di vigne, quinte di cipressi che riparano dal vento e si sale verso Arcetri.
A meta strada si costeggia la villa "il Gioiello" dove viveva Galileo Galilei, costretto al domicilio coatto dopo la condanna dal Sant'Uffizio, dove ormai debole, cieco e fiaccato dalla malattia morì a 78 anni.
Qui, nella pace della campagna e dell'orto, il grande scienziato passò dei momenti sereni. Oltre che "scrutator de' cieli", Galileo era definito "uomo terragno". Immerso nei calcoli, Galileo trovava il suo svago coltivando gli olivi e gli alberi da frutto, nel fare esperimenti con gli innesti, nell'impiantar limonaie, nel produrre vino prelibato che donava in preziosi orcioletti ai nobili amici.
Il contatto fisico col regno vegetale calmava i suoi umori e l'angustia di fronte al problema scientifico dell'infinito. Forniva alla sua mente inquieta quel riposo contemplativo necessario al pensiero.
Ora questa villa, pregna di tanta storia che gli stranieri ci invidiano, versa in stato di abbandono.
Si spera che, l'ennesimo monumento alla nostra italica insipienza, si trasformi in un occasione di riscatto: per rispetto al ricordo di un grande, della sua dolente vecchiaia, della sua tensione intellettuale, dei suoi ultimi affetti, delle sue ultime gioie e dolori terreni.

Si lascia Arcetri e si scende lungo una stradina che è uno degli angoli più pittoreschi della zona di Firenze, la strada che porta fino alla collina di S. Miniato, anticamente chiamata Collina del Re: via dell'Erta Canina. Bordata da mura, è una strada molto antica e lo testimoniano i tabernacoli e le lapidi che accompagnavano i viandanti con benedizioni e informazioni sulle distanze per arrivare a Siena. Oggi è ancora visibile e leggibile una targa che invita i viaggiatori al riposo (quello che faccio io con la scusa di leggere).
L'atmosfera che si respira qui è quella dei tempi passati e lo scenario è assolutamente incantevole, lo testimonia il fatto che la parte inferiore è coperta di sottili erbe, esattamente come una volta.
Finita la ripida salita si arriva all'ampia e imponente scala che da S. Miniato conduce alla chiesa sulla sommità del poggio conosciuto oggi come Monte delle Croci.
La gradinata è delimitata da un lato da un muraglione frangiato di ciuffi d'edera e, sull'altro, da un filare di cipressi intervallati da 14 nude croci di legno che segnalano le stazioni della via Crucis.
Lo spettacolo è stupendo: ci sono imponenti giochi di luce che rendono la chiesa splendida anche nelle ore notturne.
La facciata è uno dei maggiori capolavori del romanico fiorentino, realizzata con quel marmo bicromo che ritroviamo nei più importanti monumenti della città.
Questa chiesa pare proprio essere collegata al numero cinque che nella simbologia viene accostata al sole. Lo si desume da vari elementi della struttura, tra i quali un pentagono e il dodecaedro ad esso collegato. Ma, al di la di questo aspetto, questo piccolo capolavoro architettonico immerso nel verde delle colline fiorentine, ha alle sue spalle una storia molto intrigante e suggestiva riguardante S. Miniato che, nel 250 d.C., dopo essere stato decapitato, se ne andò su questa collina con la testa tra le braccia.

Il panorama mozzafiato che si gode dal suo sagrato è uno dei migliori della città e Dante e Michelangelo l'avevano scelta come meta preferita per le loro meditazione.
Adesso si scende verso il fiume e dopo, su di una dolce salita, tra mucchi d'alberi sparsi, si arriva al piazzale Michelangelo.
Da quassù la vista a volo d'uccello della città e delle colline circostanti è sconvolgente ma ancor di più quella pacifica armonia inalterabile nei secoli di forme e colori: l'essenza di Firenze.
Poi ti affacci alla città, o forse è Lei che si affaccia al tuo sguardo e prepotente entra nei tuoi occhi.
L'acqua del fiume spruzza luce ma opaca dalla piena di questi giorni e anche la Pescaia di S. Niccolò romba come una cateratta del Nilo. Non la luce di quell'Arno d'Argento della canzone popolare fiorentina. Di quella non resta che un ricordo.
Firenze da quassù è un dipinto. E ogni sera è la stessa meraviglia proprio perché i colori sono altri, diversi da ieri, con quelle folli e perfette sfumature...e sono pennellate di geni: di Giotto, di Brunelleschi. È un quadro senza cornice, un sogno rinascimentale, un incanto che non morirà mai.
E qui finisce il mio racconto di una serata splendida, speciale. Domani mattina mi aspetta un'altra corsa ed un altro tuffo nel paradiso fiorentino ... ma questa sarà un'altra storia.


Ettore Golvelli

Ettore Golvelli

Gara: Ecotrail - Firenze (05/03/2016)

SCHEDA GARA



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