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Il giretto del lago
di Viviana Maura Vitale, 26/06/2018

Ci sono gare e gare.
Io le guardo dalla prospettiva di chi si iscrive, magari on line dal sito della Podistica, e le sceglie o perché sono famose, o perché se ne condivide la causa, o perché si ha voglia di gareggiare e basta.
Non ci si può iscrivere però a tutte le gare. Alcune richiedono lunghe preparazioni, come le maratone, altre hanno bisogno di spirito di sacrificio perché vengono fatte in orari o lungo percorsi impegnativi. Bisogna considerare anche le condizioni climatiche, il caldo, il freddo, il parcheggio...
Il giro del Lago dì Campotosto era una di quelle gare che io più volte ho visto in calendario e mi facevo grandi fantasie di come potesse essere girare intorno ad un lago. Poi capivo che il percorso era più lungo di una mezza e quindi “ciao Lago!”. Fino a quest’anno, quando lo sguardo è caduto su una gara parallela al giro di 25 km, di "soli" 12 km.
Dieci li so fare, 12 che vuoi che sia. Sarà il giretto del Laghetto, ma meglio di niente.

Un’altra caratteristica delle gare sono le fantasie popolari presenti nei racconti di chi le ha già fatte. (Ho imparato che le gare sono come i film: ognuno ci vede quel che vuole, meglio andarsele a fare direttamente).
Io che di geografia capisco poco e di meteorologia pure, mi ero fatta l’idea che un lago presente in un posto non definito vicino L’Aquila, dovesse essere un posto verde e fresco. E con grande delusione ho ascoltato i racconti di chi narrava di un caldo afoso dovuto all’ umidità di un laghetto artificiale.  
Sono comunque partita di prima mattina di un sabato non senza essermi chiesta perché non restassi a letto a riposare invece di andare chissà dove a rincorrere chissà quale lago.
Avevo ovviamente rimosso il piccolo particolare che se si va a 1400 metri, necessariamente bisogna salire e per salire ci sono le curve. E io soffro le curve.
Che fai, torni indietro? No no. Tanto il lago starà qui dietro.
Infatti dopo circa 38 k in salita (in auto per fortuna) finalmente il navigatore mi avverte che manca poco e soprattutto incontriamo un grande autobus grigio dal quale spuntano tante magliette arancioni.
Mi sembra un miraggio. Ecco, lo seguiamo che di certo lui sa dove bisogna andare. Ma poiché pure gli autisti orange sono educati, ci fa cenno di andare avanti pensando che volessimo correre. Si. E per dove?

In qualche modo si arriva praticamente nel nulla. Dopo aver avuto il primo scorcio del panorama e della diga che sembrava dividere il resto del mondo da una imponente natura che si percepiva perfino dai segnali stradali che avvertivano che cervi e cinghiali avrebbero potuto tagliare la strada. (E per strada erano appunto rimasti alcuni evidenti segni del loro passaggio, di certo dopo aver mangiato).
Un bar, un ufficio postale chiuso, una chiesa prefabbricata, un ufficio di lamiera.
Una lunga strada, mezza in salita e mezza in discesa. Al centro quello che io chiamo il bananone. Blu. Eccomi arrivata a Campotosto.
Fa fresco. Piacevole per chi corre. Mi chiedo se porto con me un kway leggero, ma poi penso che ce la posso fare anche senza.
Siamo tanti orange, ma quasi tutti sono la’ per il giro grande. Per quello piccolo siamo io e il mio amico Roberto, che mi sembra un miraggio. Già mi vedevo sola per le montagne quando lui mi dice di andare insieme! E allora un po’ mi tranquillizzo perché avevo capito che solo in 19 avremmo corso la 12 km. La partenza è buffa. Quelli da 25 verso l’alto e quelli da 12 verso il basso.
Ma la Podistica ha fatto un bel numero prima della partenza. Non eravamo riusciti a fare la foto perché eravamo tutti sparpagliati ma, pochi minuti prima della partenza c'eravamo tutti e Marco urla: fotoooo fotoooo. E obbedienti come soldati ci mettiamo in posa senza curarci che era stata annunciata la partenza dei camminatori e noi eravamo giusto sul nastro di partenza, circa in 70... più di tutti come sempre.

Lasciamo posto a chi parte e poi ci ricomponiamo per il nostro rito. Pronti via. Capisco subito che il lungo lago è una strada panoramica che parte in una luuuunga discesa progressiva che scioglie subito i muscoli e mi lancia a velocità interessanti, anche se tutti gli altri sembrano beneficiare della discesa molto più di me. Decido di non osare anche perché ad un certo punto la geografia diventa chiara: 6 km di discesa, poi si gira, l’arrivo è lo stesso della partenza: GLI ULTIMI 6 Km SONO IN SALITA... non mi è mai capitato, vado piano, non posso sprecare tutte le energie.
Al 4° km appare il lago con tutti i suoi meravigliosi colori, un ristoro dedicato solo a noi, e dopo aver brindato a sali con il mio compagno di viaggio, faccio qualche foto, visto che non vinco mai, almeno mi diverto!
Aspetto con ansia il giro di boa al 6° km e li capisco qualcosa che fino a quel momento non si era ancora svelato: Macerie. Un palazzo puntellato con assi di metallo. Crepe nei muri di una casa disabitata. Amatrice è a meno di 40 chilometri.
Sono i ricordi di un inferno che abbiamo vissuto tutti, direttamente o indirettamente. Ricordo alcuni incontri con miei pazienti. Incredibile, nel mio piccolo mondo almeno quattro persone mi hanno parlato di dolore e perdite in quella notte maledetta. Ricordo una professoressa, un fidanzato uscito qualche minuto prima per andare a caccia, un bambino, due genitori anziani. Tutti entrati nel mio studio non più vivi, ma presenti nelle lacrime di persone che aiutavo per problemi di vita e ora parlavano di morte.
Questo pensiero improvvisi mi da’ una strana scossa e sento che la salita di può fare. Si deve fare.

Riprendo la corsa e cerco una tecnica per tenere sotto controllo il cuore che non deve andare troppo in alto e i muscoli che ancora non sono all’altezza di questo sforzo. Corro ad elastico e io e Roberto ingaggiamo uno strano gioco di lepre e volpe. Si gioca così: si parte insieme poi io (la lepre) inizio a correre veloce e Roberto (la volpe) mi guarda sorniona. Prima prova a seguirmi, so che si sente stimolato dal mio scatto, poi riprende il suo passo costante e aspetta un po’ che io mi calmo e prendo fiato e lui mi raggiunge. E poi ricominciamo. Finché non vedo una donna che mi aveva superata in discesa... arrancava un po’ un salita ma sembrava voler giocare pure lei a volpe e lepre. Mmmmm non era neanche una orange ed eravamo rimasti in pochissimi. Potevo mai permettere ad una avversaria di arrivare prima di me? Guardo Roberto e gli faccio capire che provo ad andare, lui non capisce perché (ma poi mi approverà) e mi lancio affinché l’avversaria arrivi ben 2 minuti dopo di me!
Ma l’ultimo sprint me lo da’ un bambino di non più di 4 anni che stava a circa 500 metri dall’arrivo. Appena mi vede inizia a battere le mani e io gli dico: grazie! Se tu batti le mani per me io divento più veloce. E il bambino ci crede e inizia a battere le mani forte. E io ci credo più di lui e volo (va beh dai sono sempre io...) all’arrivo. Prima del nemico! Ole’! Ed era pure della mia categoria (eravamo solo 3, ma io ero prima!!).
A questo punto non resta che aspettare l’amatriciana, ma ero ancora colpita dall'effetto benefico dell’incitazione del bambino. E allora  mi sono appostata a 500 metri dall’arrivo e se vedevo un orange lo incitavo. Che belli quei sorrisi! È proprio bello in un ultimo momento di sforzo vedere che qualcuno ti guarda, qualcuno “vede” cosa stai facendo , qualcuno “ti vede“.  E quando siamo visti ci ricordiamo che possiamo essere amati.
Ma questi sono deformazioni professionali. Io sono qui per correre... e per testimoniare che dalle macerie si può rinascere.


Gara: Giro del Lago di Campotosto [CE] (23/06/2018)

SCHEDA GARA



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