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Miguel, il progetto Korogocho, Pino Papaluca e la Podistica Solidarietà
di Giuseppe Coccia, 11/02/2007

Ieri, sabato 10 febbraio 2007, presso l’aula magna del Centro Coni si sono svolte le premiazioni della gara Corri per Miguel. Come sapete il nostro gruppo si è classificato al 3° posto ed ha ricevuto il relativo premio di 150 euro.

Nel corso della manifestazione Pino Papaluca, che conoscerete più avanti, ha mostrato con un breve video la gara da lui organizzata nei pressi di Nairobi per portare ai poveri ragazzi africani un po’ di allegria attraverso il nostro sport, nella stessa circostanza ha portato loro tantissime scarpe da ginnastica usate raccolte a Roma e tanto altro materiale sportivo.

Al termine del suo toccante racconto, pensando di interpretare il pensiero di tutti voi, mi sono permesso di donare a Pino il nostro premio sicuro che lo utilizzerà per aiutare le popolazioni del Korogocho che versano in condizioni di estrema povertà e di aiutarlo nella sua attività di solidarietà.

Pertanto se avete scarpe da ginnastica usate, indumenti sportivi ecc. potete portarli in occasione di gare o in sede e consegnarli ai membri del consiglio direttivo.
La nostra iniziativa è stata seguita da Ilario Scrocca dell’A.S.D. Villa Aurelia.

E di seguito uno stralcio della sua meritevole attività.

Il progetto Korogocho nasce l’anno scorso, durante una chiacchierata con Gabriella Stramaccioni, eccellente maratoneta negli anni Ottanta e oggi instancabile promotrice di solidarietà dell’Associazione Libera.

Korogocho, termine che in swahili significa «confusione», è l’immensa baraccopoli alla periferia di Nairobi, è l’area più povera della città più povera del mondo, è l’inferno, è un posto dove la puzza e il sudiciume danno alla testa. «Il cinquanta per cento dei 120 mila abitanti dello slum ha patologie gravi come Aids e tubercolosi.

Le strade sono piene di bambini che si trascinano avanti a fatica perché stanno morendo di fame o per via della colla che sniffano per non sentirne i morsi. Molti si “ubriacano” bevendo il micidiale chang’aa, un olio usato nei motori che entra illegalmente nel villaggio e ti brucia letteralmente il cervello.

Eppure sono e restano bambini, bambini dannati dall’indifferenza» A Korogocho lavorano i comboniani di Alex Zanotelli, coordinati da Daniele Moschetti. Portano quello che possono portare: aiuti e un po’ di speranza. Padre Daniele ha avuto un’idea, quella di fondare una società sportiva per i bambini della bidonville. Un lusso solo apparente in un posto dove si muore di fame e di sete ma dove la vita, per continuare, ha bisogno anche di sogni.

E il sogno di un bambino che sta tutto il giorno a piedi nudi nel liquame può essere anche un paio di scarpe da corsa. I comboniani, anno dopo anno, hanno costruito un piccola palestra e si sono dati da fare per trovare le attrezzature.

A Korogocho, com’è facile immaginare, manca tutto. Pino e Gabriella ragionano da podisti: ciascuno di noi in casa ha sicuramente delle scarpe in buone condizioni ma che non usa più. Lo sapete, no? Quelle “da lungo”, quelle per la gara, quelle che “solo in pista”. Ed ecco che le scarpe nascoste diventano “tassa di iscrizione” a molti eventi podistici laziali primo fra tutti “Corri con i Leprotti” di Villa Ada: per avere il pettorale non portate soldi, portate le vostre scarpe. Ne arrivano prima a centinaia, poi a migliaia. Tutte in buono stato, tutte lavate con cura. Pino passa le sue serate a dividerle per numero e inscatolarle. Le scarpe volano con lui da Roma a Nairobi nel gennaio del 2005, lo stesso giorno della Corsa di Miguel che ha lanciato l’iniziativa.

Quel giorno centinaia di bambini di Korogocho si mettono a correre attorno alla baraccopoli. E a ciascuno di loro, nel momento in cui taglia il traguardo, Pino consegna un completino da corsa e un paio di scarpe usate. «Nessuno può immaginare o fotografare - racconta Pino - gli occhi di quei bambini nel momento in cui ricevevano il regalo.
In quella stoffa e in quella gomma che si erano conquistati correndo e stringevano forte tra le mani, c’era davvero una speranza di futuro. E pensare che tre su dieci fra loro non arriveranno a dieci anni, perché falciati prima dalla denutrizione o da una malattia».

Il progetto scarpe di Pino Papaluca continua. Ne partiranno altre migliaia per l’Africa e per il Sud America, accompagnate da vestiti e medicinali. Mentre questo giornale era in stampa, lui si trovava Buenos Aires: approfittando dell’edizione argentina della Corsa di Miguel, ha portato attrezzatura sportiva a una scuola della periferia più depressa della città. Altre sono partite per un orfanotrofi o peruviano, che aveva visitato la scorsa estate. L’esperienza ha permesso a Papaluca di capire che la corsa è un grande motore di solidarietà, ma portare a compimento il lavoro è molto difficile.

Spedire giocattoli, medicinali, vestiti a chi ha bisogno è un’impresa più dura di cento maratone. Servono autorizzazioni, visti, permessi, canali preferenziali, tempi lunghi. Servono container e stive di aerei. Pino bussa a cento porte, ne trova aperte pochissime e ci si infila dentro, imparando che se si vuole essere certi che gli aiuti arrivino a destinazione bisogna viaggiare con loro e, una volta arrivati, bisogna controllare dove vanno a finire. Certo, sarebbe più semplice che fossero le stesse multinazionali sportive a spedire gratis le loro scarpe o i colossi del farmaco a sdoganare la tachipirina e gli antibiotici. Ma per ora non lo fanno. Quando sarà certo che il suo contributo non dovesse servire più, Pino sceglierà un altro posto dove andare a correre.




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