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Un pò di pietà per i runners pelosi!!
di Massimiliano Marzocca, 21/05/2009

Quando ormai nove anni orsono la mia amica Giulia mi chiese di raggiungerla a Firenze per vedere quanto fossero belli i cuccioli che Zelda, la sua Siberian Husky, aveva da poco finito di allattare, non mi sfiorò neppure lontanamente l'idea che da lì a poche ore, uno di loro, dopo essersi fatto coccolare per un pomeriggio intero, sarebbe venuto con me a Roma, divenendo così un sincero compagno di vita.

Vedere il cucciolotto saltellarmi attorno entusiasta ogni qual volta mi preparassi per correre mi faceva sorridere e molto di frequente, divertito, lo portavo con me durante gli allenamenti nell'allora semideserto Parco della Caffarella.

Questa abitudine si è poi protratta negli anni, ed anche ora Steel, sebbene non mi segua più spessissimo quando esco per allenarmi, è abituato a chilometriche sgambate, anzi.... szampate, come sanno gli amici della Podistica che regolarmente lo coccolano durante la tradizionale Passeggiata di S.Stefano.

Chi di voi mi ha seguito fin qui nella lettura si starà certamente chiedendo: per quale motivo Massimiliano ci sta parlando del suo cane?
Ho pensato di scrivere questo articolo, tirando in ballo i quadrupedi, per via di alcuni episodi a cui ho purtroppo assistito ieri durante la Race for the Cure.

Procediamo con ordine:
Prima ancora di iniziare la gara infatti, mentre vago alla ricerca di un punto da cui poter accedere alla griglia, mi accorgo che poco dietro la prima linea, nel bel mezzo della calca dei 40.000 corridori pronti alla partenza, schiacciato e compresso addosso ad una delle tante transenne, c'è un cane che devotamente, come solo i cani sanno fare, ha seguito il proprio padrone in mezzo a quella bolgia.

Calpestato dai piedi di chi non si è neppure accorto di lui, spinto dalla moltitudine di gambe cosparse di olio canforato, che per l'acuto olfatto canino sarà sicuramente piacevole quanto un uovo marcio dentro al frigorifero, la povera bestia tenta di respirare infilando il muso tra una sbarra e l'altra.

"Ma tu guarda questo scemo in che razza di casino l'ha portato!" dico alla mia ragazza, indicandole l'animale.
Nemmeno il tempo di finire la frase che la pistola dello starter provvidenzialmente lo libera da quella infausta condizione e, tra una moltitudine di piedi, lo vediamo sfilare via lungo lo stradone di Caracalla.
"Menomale" penso... avviando il cronometro mentre percorro i primi metri del tracciato.

Da subito mi rendo conto di quanto caldo faccia: sin da prima della partenza un inaspettato sole estivo riscalda l'aria già particolarmente umida di Roma. La presenza dell'afa è confermata dalla fatica che provo nel completare il seppur breve tracciato.
"Erano solo cinque chilometri...per fortuna!", penso, mentre passo al di sotto del gonfiabile rosso che segna l'arrivo.

Giusto il tempo di bere un sorso d'acqua ed inizio a percorrere in senso opposto il tragitto, così da poter recuperare Carmen, che è rimasta un po' più indietro.
A metà strada, poco davanti a me, scorgo un altro cane, anziano, al guinzaglio di uno dei tanti partecipanti. Vedo l'animale ansimare, guaire e tentare di dirigersi verso una fontanella. Altrettanto repentinamente vedo il proprietario strattonarlo con violenza, tirarlo e trascinarlo per il collo verso la direzione opposta.
Neppure il tempo di voltarmi per prenderlo a parolacce che scorgo il cane fermarsi ed iniziare a barcollare.

Mi fermo a mia volta, con me un altro podista che ha assistito alla scena. Mi avvicino alla bestiola, lo accarezzo, sta visibilmente male: sbava, resta immobile. Con una bottiglia d'acqua viene bagnato sulla testa e sulla groppa ma ansima e non riesce a muovere le zampe. Il ragazzo che si è fermato insieme a me sostiene che stia per svenire e sia necessario portarlo all'ombra prima che perda i sensi.
Guardo il padrone, ma l'unica frase che in quel momento pronuncio è: "ti ha tirato verso l'acqua, ti costava tanto farlo bere?!?" il tizio neppure risponde, ho il dubbio che non mi abbia nemmeno sentito.

Se con pazienza mi avete seguito fin qui, posso ormai confessarvi il perché di tutto questo mio scrivere: non è infatti solo il desiderio di dar voce a chi non poteva parlare, bensì anche la speranza che la presente pagina finisca sotto il naso di quel "padrone", così che possa sapere che avrei voluto dirgli molto, ma molto altro, anche se, purtroppo, non sono stato abbastanza pronto per farlo.

Non ho idea di come in questo momento stia il cane, l'ho lasciato in pessime condizioni, ma spero vivamente si sia ripreso. Sono inoltre altrettanto speranzoso che, prima o poi, preso coscienza di quale crudeltà abbia subìto, lasci lo stampo dei suoi 42 denti sul sedere di colui che l'ha trattato peggio di un sacco della spazzatura.

I nostri cani ci seguono perché ci considerano dei capibranco, ed è per questo che non ci abbandonano in situazioni di forte stress, pericolose, e nemmeno quando gli imponiamo di correre per cinque chilometri sotto il sole cocente, legati per il collo, con l'asfalto che gli brucia le zampe e senza poter bere un sorso d'acqua.

Certo però, che se il meglio che sappiamo offrire per ripagare la loro fedeltà è questo...




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