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Il mio Amico
di Roberto Trasatti, 05/07/2016

Sono quasi dieci anni che quando mi giro vedo lui.

Le prime volte che l’ho convinto a mettersi le scarpette ai piedi riusciva a stento a starmi dietro, negli anni successivi sono io a faticare per mantenere il suo passo.

Miglior compagno non potevo desiderare: lui un metronomo che mi “cazzia” quando non rispetto i ritmi che ci impongono le “tabelle”; io allergico alla disciplina e pronto a “tirare” non appena vedo un rettilineo.

Lui mi “stacca” in salita, io lo supero in discesa.

Io più forte in velocità, lui inarrivabile in resistenza.

Così diversi, eppure un tutt’uno. Non abbiamo bisogno di parlare: conosciamo tutto l’uno dell’altro, sappiamo quando uno dei due sta per entrare in crisi o quando ha la gamba “allegra”.

Ci capita spesso di allenarci insieme ad altri amici ma ogni tanto abbiamo bisogno di ritrovarci da soli per sentirci completamente “a casa”.

Ci prendiamo in giro con simpatia quando uno dei due perde terreno ma poi ci aiutiamo sempre l’uno con l’altro: sono rare le volte che un allenamento non ci ha visto concluderlo insieme.

Una cosa è certa: lui è prima di tutto un amico, forse il mio migliore amico.

Ma insieme all’amicizia c’è la nostra passione, quella che ci ha fatto attraversare intere giornate a parlare, a pianificare allenamenti, a trovare le scarpe migliori, a prefiggerci obiettivi sempre più ambiziosi, a individuare le gare più adatte e a studiare percorsi e avversari.

La passione per la corsa!

Tutti i miei modesti risultati agonistici li devo a lui. Senza non li avrei mai centrati.
Tanto sudore ma anche tante risate. Tanta serietà ma anche tanta ironia.

“A quanto?” “Si, ma oggi si va!” “Non te pijo, ma si te pijo” “Eh vai vai!” “Me lo ciucci” “Stiamo entrando in Umbria” “Come va? Eh … come va!” sono solo alcuni degli intercalari che, con allegria, ci hanno accompagnato in questi anni.

Anni in cui non ci siamo fermati mai!

Abbiamo corso infortunati quando le persone intorno a noi ci consigliavano di riposare; nelle pause pranzo d’estate quando i colleghi che ci vedevano partire col borsone sudavano anche stando fermi con i condizionatori “a palla”; nelle giornate fredde d’inverno, con il gelo, con la neve o ridendo sotto un nubifragio mentre tutti ci prendevano per matti.

Abbiamo corso a piedi scalzi, ci siamo persi dentro Villa Ada, ci siamo ritrovati tra le tombe d’un cimitero.

Non contenti di allenarci durante la pausa lavorativa, ci siamo incontrati i sabati all'alba per quei “lunghissimi” indimenticabili al cui termine, stanchi ma soddisfatti, scoppiavamo in risate nervose non riuscendo a fare né un passo avanti né uno indietro per la fatica.

C’è stata la difficoltà ad appuntarci un pettorale nella stessa gara … un po’ per paura l’uno dell’altro, un po’ per rispetto reciproco.

C’è sempre stato il sogno di tagliare il traguardo insieme almeno una volta, al termine di quella 100 km che manca a tutt’e due.

Poi è arrivato il 9 giugno: un allenamento come tanti altri: 15 km a Villa Borghese. Lui mi dice “Prendi tu il mio Garmin, non so se oggi riesco a finire, mi sento più stanco”. Come al solito, invece, terminiamo insieme; la doccia tra una battuta e l'altra; “Ci vediamo martedì per provare i 18 Km” ci diciamo con il nostro abituale entusiasmo.

Da quel momento il buio, il silenzio del cellulare, l’assenza dal lavoro, qualche notizia ma nulla di sicuro.

In quei giorni provo ad allenarmi. Non ce la faccio, mi sembra manchi qualcosa, in ogni angolo c’è un ricordo di noi. Mi giro e mi rigiro ma non lo vedo più.

Quando, dopo settimane, lo riabbraccio sento che, tra noi, c’è qualcosa di nuovo, di estraneo, di sgradito: la malattia!

Ci avevamo scherzato sopra tante volte, proprio per esorcizzarla ma che arrivasse ad uno di noi due questo proprio non ce l’aspettavamo!

Ma non siamo impreparati. Il metodo lo conosciamo. Per prima cosa ci mettiamo a tavolino, pianifichiamo tutto il pianificabile e poi cominciamo ad allenarci. Ci saranno giornate fallimentari ed altre esaltanti ma quello che conta è arrivare preparati al giorno della verità.

Bè … Gregorio, come ti ho già detto, io sono sicuro che questa gara tu la vincerai … tu sei abituato a non mollare mai, tu sei un runner!

E io ti aspetterò Amico mio!!!

Ti aspetterò per correre ancora insieme, fianco a fianco, come sempre, che sia la nostra 100 km o anche solo 100 metri … non importa!!!




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