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L'infortunio di un podista
di Enrico Bernabei, 19/10/2007

Enrico Bernabei (foto di Giuseppe Coccia)

Enrico Bernabei (foto di Giuseppe Coccia)

L'unica vera ragione per cui un podista non va a correre è perchè è infortunato. Si supera qualsiasi ostacolo, si fanno salti mortali per mettere d'accordo mogli e figli, ufficio e famiglia, pur di riuscire ad andare a correre.

Solo l'infortunio ti blocca. E cosa fa un podista quando è infortunato? Che sia un infortunio serio o meno, questo forse conta poco. Conta solo il fatto che per quel giorno, e per quanti altri a venire non si sa, non si potranno indossare le scarpe, non ci si potrà infilare canotta e pantaloncini e non si potrà uscire a correre, in un parco o in mezzo al traffico sarebbe la stessa cosa, pure sul terrazzo di casa sarebbe la stessa maledetta cosa, un dolore lancinante che ti prende, sale dal basso, dalla caviglia sino alla coscia e che non ti permette di correre.

Il quadricipide per usare un termine più esatto. Ma sempre coscia dolorante rimane. Pensi a come è potuto succedere, mentre cammini su e giù per l'ufficio, simulando qualche passo di corsa, un gesto appena abbozzato con tanto di mocassini e cravatta, che invece di farlo scomparire il dolore, come in cuor tuo speravi, lo aumenta. Uccidendo ogni tua più remota e inconfessata speranza.

Apri la finestra. Giorno di sole. Tu che avevi sperato alzandoti presto la mattina di trovare un paesaggio di cielo nero e strade bagnate. Invece niente. Ora sei lì, affacciato e pronto per andartene a pranzare. Saresti andato a correre, ed invece... la tristezza della mensa.

Hai passato un'estate intera ad aspettare queste giornate di sole e fresco, correndo e sudando sotto trenta gradi, cercando percorsi ombreggiati, vagheggiando miraggi di fontanelle e spruzzi di piogge estive, hai imprecato e supplicato dopo un'ora di corsa e litri d'acqua persi per la strada.  Ed ora che ci sei, niente da fare. Mezza porzione di pasta ed una bistecca. Meglio non eccedere visto che si sta fermi.

Torni dal pranzo. Meglio non pensarci. Apri internet e cosa trovi? Il sito della Podistica. L'arancione ti riempie gli occhi, ti svuota il cuore. Vorresti evitare. Qualcosa però ti attrae, forse la sagoma di qualcuno che conosci, forse il titolo di qualche trafiletto interessante. E' più forte di te, allora inizi con la classifica del criterium, vai a vedere se sei ancora lì, al tuo posto, ripercorri i tuoi risultati, niente di che, lo sai già, eppure se mi fossi potuto allenare ancora un pò, chissà... chissà quando recupererò.

Chiudi la pagina e vai a vedere il calendario delle gare. Ed inizi a soffermarti su ognuna, ne controlli la data e ti chiedi, ci sarò? o dovrò ancora aspettare? Troppo duro da sopportare. Chiudi di nuovo e giri la testa. Meglio rimettersi al lavoro. Scrivi, leggi, cerchi di distogliere la tua attenzione eppure la gamba è sempre lì, soprattutto il suo dolore è sempre lì, che ti cerca. O forse sei tu che cerchi lui. Diventa impossibile saperlo.

Con uno sforzo sovrumano riesci ad arrivare alla fine della giornata. E' ora d'uscire. D'andarsene a casa. Così t'avvii verso la moto cercando di ricordare dove l'hai parcheggiata la mattina. E mentre fai quei pochi passi, distratto finalmente dalla folla di turisti smanicati e rossi di freddo, cos'è che vedi, o meglio, chi è che ti si para davanti agli occhi, come un incubo, un'ossessione? Due, dico due, non uno ma ben due, pseudo podisti con tanto di scarpe da tennis (e non è tanto per dire, sono proprio scarpe da tennis per la terra battuta di quelle che fanno un rumore assordante ad ogni passo, forse anche per il peso dei due "runners") e giacca a vento stile K-Way (così il giorno dopo peseranno 20 kili di meno, di acqua però) che saltellano più che correre tra la folla e i sampietrini, auto blu e vigili urbani.

Forse son turisti anche loro, corrono con le loro gambotte di muscoli poco definiti e ciccia. Li guardi sfilarti davanti rubicondi, quasi paonazzi. Ti fermi. La prima cosa che ti chiedi è come facciano a correre lì. E tu scemo come hai fatto a non averci mai pensato che potevi uscire dall'ufficio e andartene a casa correndo! Poi ti chiedi, a quanto andranno? Lo so, può sembrare un'ossessione, ma sfido un qualsiasi podista, vero podista, a dimostrarmi di non averlo mai fatto, mai pensato, vedendo qualcun altro correre. E ti rispondi, chissà, comunque molto poco.

E mentre fai tutte queste riflessioni, mentre il cervello ti si ingarbuglia tra frasi di scherno e offese più o meno irripetibili che gli lanceresti contro, qualcosa dentro ti nasce e cresce e non sai cos'è fin quando capisci che quei due hanno qualcosa che tu non hai e che vorresti avere, ora, in quel preciso istante. E capisci d'essere invidioso, o forse semplicemente d'invidiare loro una, solo una tra quelle quattro gambotte grassottelle dai muscoli poco definiti, possibilmente la più magra.

E pagheresti per essere tra quei due, anche tu con le scarpe da tennis (sempre meglio dei mocassini) ed il K Way. Anche tu tra turisti e sampietrini e smog. Anche tu ad allargare i polmoni e a correre ed a sentirsi il vento in faccia. E allora capisci.

Quello che ti manca davvero quando sei infortunato, quando per una qualsiasi ragione non puoi correre, non è il cronometro e non è sentire la fatica nelle gambe.

Quello che ti manca davvero non è l'attesa della competizione o il cercare di migliorarsi di qualche secondo.

Quello che ti manca davvero è il vento sulla faccia e la libertà di correre dove vuoi.


Enrico Bernabei (foto di Giuseppe Coccia)

Enrico Bernabei (foto di Giuseppe Coccia)



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