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Una gara per scoprire ancora me stessa
di Isabella Calidonna, 13/10/2016

“Oddio, non ce la faccio” questo è stato il pensiero che mi ha martellato per i primi 200 metri in acque libere nella mia ultima gara. Ero lì, in mezzo al mare, con una crisi di panico in corso e nessuno vicino. Ho ben fissa in mente la scena. Sto nuotando, fatico e quando mi giro per cercare qualcuno, non vedo nessuno.
In quei momenti ero presente a me. Stavo capendo cosa succedeva. Volevo ritornare indietro, ma al contempo volevo dimostrare a me stessa che potevo farcela. Nuotavo e cercavo. Ricordo distintamente alcune cose. Le boe, qualcuno che nuotava a dorso perché, forse, colpito dalla mia stessa crisi. La moto d’acqua che portava via qualcuno, gli scogli dopo la seconda boa e l’arco bianco sulla spiaggia.
Nuotavo, alzavo la testa e si faceva sempre più vicino. Stavo per finire.
Finalmente tocco. Inizio a correre sulla spiaggia. Non c’è nessuno che mi aspetta all’uscita. Sono una delle ultime. Ma poco importa. Vicino al tappeto blu, che porta verso la t1, sento la voce di Bruna e Antonella. Mi incitano, ma non riesco a sorridere. Sono quasi arrabbiata.
Mi cambio. Levo la muta e riesco a farlo con fluidità. Calzini, scarpe, numero, occhiali e caschetto. Prendo la bici e vado. Inizio la frazione bike. Gli altri sono a buon punto, per un pochino ci incrociamo, mi superano (basta poco). Capisco che sono indietro quando rimango quasi sola a finire i miei giri.
Mi aiutano indicandomi quanti chilometri dovrei fare, ma sto contando bene e so che manca un giro alla fine.
La mia rabbia sale sempre più. È una cosa strana, perché è un sentimento mai provato.
Finita la bici accade una cosa strana. Vado verso la zona cambio e vedo un sacco di atleti corrermi incontro. Tra me e me penso che ho sicuramente sbagliato traiettoria per entrare in t2. Poi, però, capisco che sono gli atleti che avevano già finito. Mostri di bravura.
Entro in t2 slaccio caschetto levo gli occhiali e metto il cappellino. Sento qualcuno che dice “ti aspetta una bella corsa ora”. Sapevo che ci sarebbero state delle salite, ma tra la teoria e la pratica c’è un abisso.
Avevo le gambe poco fluide e la frazione di corsa inizia subito con una salita. “mort..” penso. Comunque faccio quello che devo. Alla fine del primo giro sento Bruna che mi dice “dai che sei arrivata!!” Io gli faccio no con la testa. Mi manca ancora un giro. Inizio il secondo giro e sento un addetto alla sicurezza che dice in radio “sta passando il numero 212, con cappellini bianco” io stavo scoppiando e mi sono fermata a camminare, in salita. Da lontano sento “ora sta camminando”. Nella mia testa lo mando a quel paese e riprendo a correre. Quasi alla fine si avvicina anche Gianluca e mi dice “dai che hai quasi finito!” Provo a sorridergli, ma credo mi sia venuta fuori una smorfia indescrivibile. Arrivo quasi alla curva degli ultimi metri e vedo spuntare Elisabetta “daii che hai finito!” dopo un po’ arriva Gigi. Mi scortano fino alla fine. È una sensazione bellissima perché nessuno mai lo aveva fatto per me. Gli sono infinitamente grata per questo. Grata per avermi fatto sentire cosa si prova.
A pochi metri mi lasciano sola. Arrivo sotto l’arco e faccio un sorriso. Ma me ne accorgo dopo. Me ne accorgo guardando le foto.
È stata la mia prima gara senza i miei soliti sorrisi. Caratterizzata da nuove emozioni e sentimenti. Sono anche scoppiata a piangere. Mi sono riscoperta fragile e con tanta strada da fare, su diversi frangenti. Ringrazio chi mi ha aiutata a superare il momento: Antonio, Marco, Simone, Gigi, Elisabetta, Alberto, Nicola, Bruna. A qualcuno ho confessato di essermi sentita sola in gara. A mente lucida dico che non ero sola. C’erano i miei amici e c’ero io. Ho dimostrato a me stessa che posso farcela anche senza cazziatoni, senza incitamenti. Posso farcela e basta. Questa gara è stata importante. Un insegnamento: non ci si deve fermare mai, posso e DEVO migliorare come atleta e come persona. Lo devo a me stessa.




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