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Ritornare ad emozionarsi. Duathlon di Carnevale.
di Isabella Calidonna, 20/02/2017

Domenica 19 febbraio sono ritornata nuovamente spettatrice e supporter dei miei compagni di squadra.
Avrebbe dovuto essere una mattinata diversa, una mattinata di lavoro. Ma non è stato così. Tour saltato e a me non andava di rimanere chiusa in casa, anche se avevo un mucchio di lavoro da portare avanti. Avevo voglia di sole. Avevo voglia di aria fresca e soprattutto stare in compagnia.
Così chiedo ai miei compagni di squadra a che ora sarebbe partita la gara di Duathlon all’Eur e sono salita in metro. Arrivata all’Eur mi dirigo verso la Basilica, dove partirà la gara. Trovo tutti i miei compagni di squadra lì, partecipanti e non. Scambio due chiacchiere e ritorno ad “acclimatarmi” nei momenti pre e post gara.

Ritorno ad osservare. Osservo come gli atleti sistemano le bici in zona cambio. Come stanno attenti a riporre in maniera ordinata tutto ciò che serve in gara accanto alle loro bici. Sento l’emozione dei “debuttanti”. Osservo il loro riscaldamento, percepisco le loro emozioni.
È la mia prima gara di Duathlon quindi mi faccio spiegare bene come funziona. Sarà che sono una pippa in nuoto (e in bici e in corsa) ma a me sembra quasi più semplice. Mi dicono che non è proprio così, ma che da fuori lo può sembrare.
Sono tutti pronti e la gara inizia. Corsa, bici, corsa.

Io, Gigi, Daniela, Fabrizio, Fede e il suo amico/collega, che spero mi perdoni perché non ricordo il suo nome, incitiamo come possiamo i nostri compagni. Li seguiamo nelle varie frazioni e li vediamo tagliare il traguardo uno per uno. Li osservo. Sono molto stanchi. “Una volta finito è una sensazione bellissima, lo rifaresti subito. Ma mentre sei lì dici a te stesso chi te lo fa fare” mi dice Sandro. Ascolto, osservo e decido di aspettare con Gigi le premiazioni dei nostri Orange andati a podio, Dario e Stefano che sono stati fantastici. Come tutti gli altri del resto. Mi danno la spinta, solo osservandoli, di fare meglio.
Purtroppo non riesco a vedere le premiazioni fino in fondo perché purtroppo il lavoro mi chiama, però sono stata felice di essere rimasta lì fino quasi alla fine.
Così mi avvio sola verso la metro e penso. Penso che questo è il mio mondo, strano, ma è il mio. Che mi basta poco per tirarmi su, sole e chiacchiere con amici, e che il resto non conta se ha deciso di non esserci.




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